Le celebrazioni che hanno seguito la morte di Marco Pannella hanno manifestato la stessa enfasi artificiosa e pretestuosa che aveva accompagnato gli ultimi trenta anni di carriera politica del personaggio, anni contrassegnati da una sostanziale irrilevanza. Il presunto partito delle “battaglie civili”, il Partito Radicale di Pannella e Bonino, si era ridotto da tempo ad una piccola lobby delle biotecnologie. Mentre si avvantaggiava di una attenzione mediatica assolutamente sproporzionata, Pannella ha anche potuto continuare a recitare la parte della vittima, ma, appunto, solo perché i media stavano al gioco delle parti. C’è stato però un momento storico in cui Pannella ha effettivamente occupato il centro della scena politica, ed è stato tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, quando il Partito Radicale conduceva una instancabile campagna di provocazione “da sinistra” nei confronti del Partito Comunista. Il gruppo dirigente berlingueriano, ovviamente, si dimostrò incapace di reagire efficacemente a quella provocazione, anzi, recitò la parte del bersaglio fisso. L’arroganza dei dirigenti del PCI mascherava il loro dilettantismo politico, la loro rappresentazione puerile del mondo; una rappresentazione giocata attorno a luoghi comuni come legalità e illegalità, onestà e disonestà, al punto di avanzare la ridicola proposta politica del “governo degli onesti”.
A distanza di quaranta anni, il dibattito politico interno non si è schiodato da quelle false alternative. Le vicissitudini giudiziarie che hanno investito il governo Renzi hanno suscitato infatti reazioni che riproducono quegli stessi schemi, andando quindi a colpire aspetti marginali, come le compromissioni familiari delle ministre Boschi e Guidi, ed anche dello stesso Renzi.
In effetti è difficile pensare che Renzi abbia costruito la sua carriera politica su un modello corruttivo così passatista ed antidiluviano, lui che è così moderno. Il suo taglio politico ricorda infatti quello di un altro leader della “sinistra”, cioè il primo ministro laburista Tony Blair.
Il modello-Blair è quello di una falsa immagine di dinamismo giovanilistico, che usa però la politica come fase di mero passaggio e lancio verso ben altre fortune, ovvero carriere nelle multinazionali (magari, nel caso di Renzi, la Apple, tanto per tirare a indovinare) o in fondazioni ad esse legate. Non a caso Renzi disegna per se stesso una carriera politica a termine: dopo aver fatto tutti i favori possibili al sistema degli affari multinazionali e dopo aver scardinato ogni equilibrio istituzionale, la prospettiva è di andare a raccogliere il premio accedendo ai veri guadagni. Il bello è che questo sistema di “porte girevoli” tra pubblico e privato non ha nulla di illegale. Magari è destabilizzante, eversivo, ma non è considerato illegale, a meno di non voler arrivare direttamente all’accusa di alto tradimento: un’accusa troppo stentorea per il nostro sistema giudiziario, abituato a perseguire la corruzione di piccolo cabotaggio. Non che manchino le rare eccezioni, come la procura di Trani che persegue le agenzie di rating, ma si tratta appunto di eccezioni isolate.
In Italia si sono già verificati altri esempi di “porte girevoli”, ad esempio Giuliano Amato, il quale, poco dopo la caduta dell’ultimo governo Prodi, in cui era ministro degli Interni, è andato a svolgere consulenze per Deutsche Bank. Oggi Amato è tornato nelle istituzioni in veste di giudice costituzionale e, alla fine del mandato, lo aspetta qualche altro ruolo prestigioso e super-pagato in potentati privati sovranazionali. La “porta girevole” è un modello corruttivo tagliato sulle esigenze dei super-ricchi, cioè delle multinazionali, che sono le sole a poterselo permettere e ad essere materialmente in grado di gestirlo, perciò tale corruzione sfugge al giudizio umano; anzi, non viene neppure percepita dall’opinione pubblica. Il denaro, se è tanto, ridisegna i confini della morale pubblica in base ai propri comodi. La ricchezza può non bastare ma esiste una soglia di ricchezza, superata la quale, si accede automaticamente ad un potere auto-assolutorio.
L’attuale “partito degli onesti”, il Movimento 5 Stelle, si attarda nella denuncia delle forme primitive, tradizionali e povere di corruzione e non appare molto attrezzato nei confronti delle forme più moderne e facoltose. Le cose stanno anche peggio, se si considera che lo stesso M5S è nato su un conflitto di interessi legato alla figura di Gianroberto Casaleggio buonanima, il manager di un’azienda di servizi di consulenza di marketing digitale, ovvero la rete al servizio degli affari. Quando Casaleggio ha potuto presentare la formazione M5S come un proprio prodotto, ha contestualmente fatto pubblicità ai servizi della propria azienda, facendo credere che questa potesse inventare un mercato (in questo caso un mercato di suggestioni elettorali) praticamente dal nulla.
Realisticamente non si può pensare che il grillismo politico sia stato interamente un effetto delle mirabolanti arti digitali di Casaleggio: ci sono stati, e ci sono tuttora, sicuramente altri “aiuti”, proprio perché il grillismo politico attuale tradisce e sovverte il messaggio del Grillo di dieci anni fa, quello che ci avvertiva che il vero potere andava stanato nel colonialismo delle multinazionali. Chi punta tutta l’attenzione sulla corruzione delle mazzette, come il Movimento 5 Stelle, finisce per rivolgere la polemica verso i “vizi nazionali” in nome del consueto autorazzismo.
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